(30.09.2010)
Il
 portone si chiude alle mie spalle e m'incammino per il viottolo di 
ghiaia, che mi tiene a galla tra i due mari di prato verde che si 
stagliano ai lati. Raggiungo il cancello, che è ancora aperto. Due 
operai controllano la chiusura automatica. Li saluto e prendo a destra.
Sotto
 i miei piedi l'asfalto della Flaminia. Il cielo è blu e il sole 
dell'una finalmente non fa soffocare. Basta sbottonare la giacca, e si 
va che è una meraviglia. La strada è lunga, ma Dio o chi per lui mi ha 
concesso un giorno senza fretta, e il mio grazie è davvero sentito. Ho 
tutto il tempo di pensare. Di ripensare. Di assaporare.
Non è 
stato facile arrivare fin là. Era abbastanza lontano e abbastanza 
scomodo, coi mezzi. E poi era la prima volta che giravo quella zona. Una
 piccola avventura geografica nella grande avventura professionale. La 
ricerca del lavoro che porta a conoscere nuovi posti, nuove persone. 
Come il signore a cui ho chiesto informazioni e che dal nulla mi ha 
offerto un passaggio, visto che secondo lui la strada a piedi era lunga 
parecchio.
Ogni volta conquisto un pezzo di mondo in più.
 Quello 
di oggi era periferico, in parte rurale. Segni particolari un cimitero, 
un golf club, e due o tre chilometri di strada statale consolare senza 
marciapiede. Erba verde, scorci di campagna autentica, tante lucertole 
imperattive e perfino qualche grillo. Uno spettacolo.
Ad un certo
 punto mi trovo davanti un cartello BUS - FERMATA SU RICHIESTA. Mi giro,
 da lì si vede almeno un kilometro di strada. Però c'è solo un torrente 
di macchine. Forse un paio di camion. Niente pullman. All'autostop non 
ci penso che per un secondo. Ho già avuto la mia dose di culo, e poi 
davvero non ho fretta. Me lo voglio godere, questo sole. Mi sistemo la 
tracolla, penso che potrei addirittura sfilarmi la giacca, arrotolarmi 
le maniche e abbronzarmi un po'. L'unico rimpianto gli occhiali da sole.
 Anzi no, la macchina fotografica. Ma la perfezione non esiste, per 
fortuna.
Persone che ti sorridono, persone che ti soccorrono. 
Persone che ti stringono la mano o che si propongono di darti un 
passaggio almeno a ritorno. Non appena esci di casa tutti i nemici 
spariscono, si dileguano. E poi metti che arrivi in un posto che ha 
qualcosa di paradisiaco. Una specie di casale rinascimentale, lucente e 
immerso nel verde. La strada è di ghiaia così bianca che sembra lavata a
 mano, sassolino per sassolino.
 Una cosa incredibile. Una cosa che mi viene il pensiero sia finta.
 Una ragazza coi capelli mossi mi dà il benvenuto. Rimane sorpresa, alla storia del passaggio. Io sono sorpreso quanto lei.
 Dentro mi accomodo su una sedia rossa. Chi arriva in anticipo condanna 
se stesso all'attesa. È normale. Nel mentre, però, si rovescia 
dell'acqua da un contenitore. Finisce sul pavimento, tutta intorno alla 
stampante. La ragazza corre, prende il mocio e lo passa veloce avanti e 
indietro sul pavimento. Si affanna un po'.
 Eccola là. Ecco la conferma che quel posto è  umano, vulnerabile, reale.
Un
 cartello tondo cerchiato di rosso mi avvisa che non si devono 
oltrepassare i 50 km orari. Non c'è alcun pericolo. Io qui non potevo 
venirci che a piedi.
 Io vado alla velocità di chi se la gode, anche se non dispongo di molto e cerco sempre qualcosa di più.
 Ma lungo la strada, tra una lucertola e un fioraio ambulante, sotto un cielo stupendo, per un bel pezzo non cerco più niente.
lunedì 5 marzo 2012
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