Che poi certe volte, in certi luoghi, ci finisci proprio per caso. Voglio dire, per trovarti in un certo punto ad una certa ora, essendo uscito da casa ben 7 ore prima, devono allinearsi troppi elementi per poter creare quella situazione. A quel punto le cose sono due: o hai fatto in modo di trovartici, oppure è il caso. E visto che in quelle 7 ore precedenti hai fatto più cose, cambiato programma, improvvisato percorsi, allora forse l'unica storia plausibile è quella della coincidenza.
Ti ritrovi sulla banchina, in una tratta della metro che ci pensi, ma proprio non ricordi da quant'è che non ci passavi. Sei sicuro di esserci passato almeno un paio di volte dopo che è finita, ma non ricordi bene in quale circostanza. Così alla fine ti arrendi all'evidenza: tutto quello che sai di quella banchina, di quella metro, risale a lei.
A quei tempi il sabato sera finiva intorno a mezzanotte e mezza. Ci si alzava dal pub, si salutava gli amici, e si prendeva la metro. Una tirata fino a Magliana, tra sbadigli, sorrisi, silenzi e qualche coccola. Si scendeva, e poi si imboccava un corridoio buio fino all'ascensore, che portava al parcheggio. Al quarto piano gli ultimi baci, le ultime parole.
"Fammi uno squillo quando arrivi".
"Sì va bene. Anche tu però."
Poi la corsa. La porta l'ascensore il corridoio buio il tornello le scale mobili a salire, il corridoio per attraversare i binari le scale mobili ancora per scendere e infine la banchina. Certe volte potevo andare anche piano, la prendevo lo stesso. Altre volte dovevo andar forte, e la prendevo per poco. Certe volte finiva che aspettavo minuti, magari in compagnia di un extracomunitario. Certe volte, però, la metro potevo anche perderla. E allora mi toccava il notturno.
E notturno o metro, certe volte ero così stanco e stavo così bene che durante il viaggio chiudevo gli occhi senza accorgermene e mi addormentavo. Ma per fortuna riuscivo sempre a svegliarmi in tempo, ad arrivare a casa e a farle lo squillo per darle la buonanotte.
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