Il primo "addievederci" (una forma mista di addio e arrivederci  che sembra governare i saluti più o meno definitivi nell'ambiente  professionale) lo provai che ero arrivato da poco. Nemmeno una settimana  che ero in agenzia e il ragazzo che mi aveva accolto, F., mi  stava stringendo la mano per salutarmi. Mi diede il suo biglietto da  visita, che poi in realtà era un biglietto da visita dell'agenzia sul  quale aveva scritto i suoi contatti con una penna nera, e ci scambiammo  un "in bocca al lupo". Dopo pochi istanti sparì dietro al  portone.
In seguito partì anche S., e dopo fu la volta di altre persone. Io continuavo  a stringere mani, a spargere abbracci e ad augurare buona fortuna a  tutti quelli che se andavano, sempre con meno sorpresa. Mi stavo  abituando agli "addievederci".
Il lavoro è duro, il lavoro è tosto. Roba da uomini veri, con le palle  quadrate.
Il segreto? Chiudere a doppia mandata, serrare bene ogni spiraglio  d'affetto, impedire che piccoli raggi di luce filtrino e  impressionino quella preziosa pellicola che abbiamo dentro.  Perché di gente passare ne vedi molta, forse troppa, e se non facessi  così non potresti più vivere.
Ieri è stata la volta sua, quella del buon E.
Se ne è andato felice, con lo stesso sorriso che aveva il primo giorno  che lo vidi e che per tutto il tempo in cui ha lavorato al mio fianco  non ha mai tolto. Sarà che qualcuno ancora riesce a sorridere con la  faccia sua, senza doversi mettere una maschera per l'occasione.  Saluti, abbracci, strette di mano e "addievederci" a tutti. Davanti una  festa, una caccia al tesoro, e poi Salento.
E ci siamo salutati col sorriso, guardandoci negli occhi, con  quell'inchino nato per gioco e diventato così inaspettatamente il  simbolo, per un istante, del nostro addievederci.
Poi sono tornato al mio posto, ho rimesso gli occhi sul monitor e le  dita sulla tastiera. Ho spinto lettere, numeri e simboli,   sperando di riuscire, con essi, a spingere lontano anche un po' di  quella malinconia che sentivo strisciarmi alle spalle. Ho fatto come  fanno tutti, sicuro che non appena ne avessi avuto il tempo, avrei fatto  a modo mio.
Sono qui a farlo. Adesso.
E per qualcuno non dovrei.
Me ne fotto.
Guardo alla mia sinistra e ci trovo il nulla, poi penso che da lunedì qualcuno  siederà al tuo posto, e che per quanto sarà bravo non avrà il tuo  sorriso. Non sarà il " King dell'animazione", il ragazzo che mi salutava  con "ciao Capitano".
Ciao...
In fondo, sto pensando, il nostro non è stato un comune "addievederci".  Il nostro è stato un più onesto "ciao", in attesa che un mese o poco più  ci rimetta di fronte a ridere e a scherzare.
Tra una settimana toccherà anche a me, amico mio.
Immagino di darti la buona notizia mentre tu starai in spiaggia a  goderti il sole, la brezza e il rumore delle onde. Immagino di  ridere qualche minuto assieme per l'ebbrezza della libertà.
Intanto brindo alla tua, come si deve. Butto giù questo cocktail  neanche troppo fresco di parole improvvisate, e shakerate con la tecnica  e la destrezza di un contadino.
Butto giù e mi disseto, che qui intorno le mura si stringono e fa  sempre più caldo.
Fuori c'è la brezza, e praterie sconfinate dove costruire tutto quello  che ci piace.
Salute.
giovedì 17 novembre 2011
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