Quando ho cominciato questo percorso, conoscevo all'incirca l'immagine di ciò che avrei voluto trovare alla fine, o almeno la meta esatta che avrei desiderato raggiungere.
Però, di quella strada mi mancava tutto il resto, persino il primo metro per muovere il primo passo. Così me ne stavo lì, immobile, con un piede a terra e l'altro in aria. Stroncato, paralizzato nel mezzo del movimento, con la borsa penzolante nel vuoto, le mani in tasca e lo sguardo perso a guardarmi intorno, cercando di scorgere qualcosa, un segnale qualunque.
Attendevo paziente che una mano divina o una magia nera mi mostrasse anche solo quel maledetto primo metro, se non altro per mettere a terra il piede e riposarmi un po'. D'altronde resistevo e insistevo con tutte le mie forze in quella posizione, perché in fondo sapevo che in un percorso lungo e pieno di insidie, la parte più difficile restava comunque quel primo piede più avanti dell'altro, quel minimo colpo d'aria contro la mia fronte e spostamento di cielo sopra la mia testa.
Poi accadde.
Mi mossi. Era così tanta la gioia che provai subito un altro passo, e poi un terzo, e poi un altro ancora. Prima che me ne rendessi conto, avevo già fatto tanta strada da voltarmi e non credere a quello che vedevo.
Ogni giorno la strada verso l'immagine sognata era più facile, e sebbene mi rendessi conto che il sentiero era ancora lunghissimo, tanto da non vederne nemmeno la metà, andavo avanti con passo spedito, senza lesinare energie, convinto che avrei presto raggiunto lo scopo. Il terreno procedeva sotto di me con invidiabile velocità, e i miei passi lo coprivano e lo superavano tanto agilmente che a volte la strada pareva in discesa. Altre volte mi sembravo un treno a vapore, così lanciato da non temere alcuna salita, tanto che persino i dossi e gli altri ostacoli lungo i binari non destavano in me la minima preoccupazione, dal momento che sapevo di arrivarci così veloce da poterli quasi saltare.
Ma qualcosa cambiò. Quel viaggio sicuro mise nel mio orecchio la pulce del cambiamento, della sfida. Così scelsi di cambiare strada, di provarne di nuove.
Così ho trascorso questi ultimi tempi e chilometri a provare sentieri più impervi, sfidando salite che mi apparivano insormontabili. Non sempre riuscivo, ma ogni volta mi rialzavo più testardo di prima. Forse fu questo il mio segreto, quella natura sepciale che mi permise di guardare il mondo da cime che sapevo irraggiungibili, e di dormire sul fondo dell'acqua per notti senza risalire a prendere fiato, in certi momenti riuscendo persino a respirare.
Solo dopo mi accorsi, però, che avevo perso di vista ciò che inseguivo, l'immagine che aveva messo in me in moto il primo dei passi e quindi ogni altra cosa.
Non avevo più un orizzonte da seguire, né una direzione da prendere. Ero in cima ad una altissima vetta, ma non esisteva alcun panorama. Come un viandante su un mare di nebbia, ero nuovamente immobile, stavolta di fronte al paesaggio confuso che la troppa polvere dei miei scellerati e veloci passi avevano alzato. Non era in vista neppure una semplice strada per scendere. Dovevo attendere in solitudine e al freddo, proprio allora che di colpo sentivo il peso degli anni passati ma fino ad allora ignorati.
Così presi un blocco di carta, finito in fondo alla borsa, e cominciai a disegnare le cime e la nebbia, immaginando la strada, in attesa che un raggio di sole filtrasse ad illuminarla, o che gli occhi imparassero di nuovo a vedere le cose nel buio.
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