venerdì 24 agosto 2012

L'altra stanza

Stavolta la storia è diversa. Stavolta non ero più un verginello in visita al suo primo appartamento della sua vita. Stavolta ne avevo già visto uno, e mi sentivo sicurissimo. Tanto più che la zona era la stessa, e ormai io ero un esperto, di Colli Albani.

Sapevo già che uscito dalla metro sarei passato per la caffetteria, che poi salendo mi sarei trovato un fruttivendolo sulla destra, una farmacia sulla sinistra fino a sfociare al grande incrocio, presidiato dalla filiale dell'Unicredit, che già ospitava i miei soldi da qualche parte, in qualche modo.

Questa volta mi sentivo così sicuro che ho deciso di giocarmi i 10 minuti nemmeno di anticipo facendo una passeggiata lì intorno. Con mia grande sorpresa, mi sono ritrovato in una piazza dall'aria familiare dove avevo mangiato un panino anni fa durante una sosta in bici, e lì vicino ho riconosciuto la chiesa in cui ho assistito al funerale del padre di un ragazzo che conosco.

Sì, ok, ma la stanza?

Ci arrivo subito, anzi, ci sono arrivato subito. Ho spaccato il minuto e ho stretto la mano del tipo che al telefono il padrone mi aveva detto mi avrebbe ricevuto. Pino.
Un tipo troppo vecchio.
Dico esagerando, eh, per carità. Ma avrà avuto almeno 35-40 anni, e io un coinquilino così proprio non me lo aspettavo. La prima domanda che gli ho fatto è stata "e gli altri ragazzi quanti anni hanno?". Mi ha detto "più o meno 30", e per me è stato un bel respiro di sollievo.

La casa era piuttosto buia e anche un po' vecchiotta. Passando lungo il corridoio ho notato due farfalle appoggiate sulle pareti e poi sono sbucato in cucina. "Io la bici la metto dietro la porta", mi ha detto Pino, "però visto che tu hai la stanza grande puoi metterla in camera tua". La cucina aveva un balconcino stretto stretto, che in pratica toccava il tetto calpestabile di un grosso stabile su cui affacciava. Tra il tetto e il valcone ci sarà stato un metro nemmeno. Ho pensato "sai qui che furti? Io qui verrei a rubare alla grande, se fossi un ladro".
Poi siamo andati nella stanza, molto ampia, e Pino mi ha spiegato come funzionava. "4 uomini e 1 bagno" mi ha detto, ed io ho pensato a 4 matrimoni e 1 funerale. Pino mi ha detto che lui si sveglia alle sei e mezza per andare a lavoro, quindi alle undici massimo va a nanna. "Siamo molto tranquilli", ha sottolineato. "Ottimo, anche io sono un tipo tranquillo", ho sentito il bisogno di sottolineare io.
"Di solito non ospitiamo. Ospitare vuol dire che la persona che inviti trascorre la notte in casa. Ma tu risiedi a Roma, ovviamente non hai di questi problemi".

Io non credo alle vibrazioni, ma credete voi a me se vi dico che in quel preciso istante mi è comparso davanti agli occhi il puzzle dell'uomo serio, triste, in là con gli anni e - diciamocelo - pesantino, mio coinquilino nell'appartamento buio, vecchiotto e ideale per essere svaligiato.

"No, Pino. Io sono un tipo tranquillo e affidabile. Ma sono qui per vivere. Sono qui per cominciare qualcosa che inonderà di luce la notte, che sarà fuoco e fiamme, che potrebbe bruciare queste pareti e accecare i tuoi occhi. Sto parlando di creare, di ridere, di non avere paura. Di nulla."

Questo ho pensato di dirgli.

Ma poi gli ho stretto la mano, l'ho ringraziato molto e gli ho detto semplicemente che magari ci saremmo risentiti.

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