Scrivere davanti a un camino. Non dovrebbe essere altro, la mia vita.
Svegliarmi il primo dell'anno con l'aria fredda e umida, scoprire la brace rimasta sotto la cenere e da lì far ripartire la fiamma. Vederla nascere incerta dal fumo, poi crescere oscillando sempre meno alle piccole correnti d'aria. Infine, godere della sua luce, del suo calore e della sua danza così seducente.
Sì, è proprio così che dovrebbe andare la mia vita. Svegliarmi presto nell'aria fredda e umida di una mattina d'inverno, accendere il fuoco e scrivere qualcosa su un foglio mentre il calore comincia a diffondersi nella stanza e l'odore della prima fiamma si fissa sulla carta sotto le mie mani, pronto a ispirare la penna e ad arricchire l'inchiostro.
Una vita rustica, romantica e libera. Un mestiere obbligato dalla vocazione: non un elemosina richiesta con la mano protesa, ma un tesoro strappato a chi per negarmelo lo aveva nascosto e difeso in mille maniere. Vivere di storie. Raccontare la vita e provare a capirla, a darle un senso, poi un altro, e poi persino l'opposto.
Aggiungere personaggi e intrecciare le loro storie con quella iniziale, aggiungendo zeppi e poi ciocchi senza mai far soffocare la fiamma, che si nutre parimenti di aria, come il poeta.
Bruciare, mentre parole e pensieri si affollano, si mischiano, lottano e poi sopravvivono sul foglio bianco.
Questo dovrebbe essere la mia storia. Nient'altro.
Un amore e un lavoro che non mi costringano, ma che mi permettano. Una vita che si lasci abbracciare e non mi soffochi mai, perché anch'io come la fiamma e come il poeta ho bisogno di aria per volare in alto e brillare nel buio, abbagliando la stanza e incendiando me stesso e tutto quello che ho intorno. Fino a tornare, stanco, a indebolire l'impeto e a rannicchiarmi nascosto sotto la cenere, a riposare e sognare le storie di domani.
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