domenica 27 novembre 2011

See you on Monday

Ci sono giorni che vuoi scrivere un post, semplicemente perché è troppo che non ne scrivi uno come si deve, come davvero vuoi, in quel modo che riesce a farti sentire come cerchi disperatamente di sentirti ogni giorno.

Esistono le paure incredibili, e sono quelle che si risvegliano improvvisamente nel profondo. Quelle che quando arrivano al cervello tu vorresti non farle entrare, ma sono già dentro e così in fondo che non puoi nulla. Resti paralizzato, e ti rassegni ai battiti del tuo cuore, che sempre più veloci e frequenti assomigliano a colpi di tamburo in grado di renderti sordo e mandarti nel panico.
Puoi solo guardarle in faccia, queste paure che ti assomigliano più di ogni altra cosa al mondo. Sono le tue figlie più autentiche. Combatterle, prendendole a pugni o a calci, non servirebbe un granché. Magari abbracciarle, provando a capirle. Ma è tosta. Come afferrare un fulmine e stringerlo al petto, nel tentativo simultaneo di attutirlo, fermarlo, annullarlo, assorbirlo. Morire e rinascere. Ogni volta, ad ogni paura.

Ma esiste anche l'affetto. Quell'affetto che magari finisci per non capirci molto, ma ti riempie. Ah, quanto riempie l'affetto! L'affetto riempie così tanto che da solo, un nuovo affetto, può riempire lo spazio di tanti affetti che ormai non esistono più. Riempie così tanto, che la pressione da dentro ti fa sorridere di più e divertire di più, e che il sangue che va più veloce ti accende un po' più i colori del mondo e spinge le cellule e i muscoli a muoversi in automatico in maniera diversa dal solito. E così finisci con un braccio proteso a cercare una nuca dietro il poggia testa di un sedile: senza riuscire a controllare del tutto quel nuovo istinto di tenerezza.

Uno sportello si chiude e una macchina riparte stranamente veloce. Certe le volte le guance parano baci destinati alle labbra, e nemmeno smarrirsi, una corsa, ritrovarsi, un cornetto e una fontanella trovata nel buio bastano a farti capire che tipo di volta era.

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